trontiana

Il proprio tempo appreso col pensiero

Scritto politico postumo

Con questo scritto «volutamente postumo», stilato in quelli che sapeva sarebbero stati gli ultimi mesi della vita, Mario Tronti consegna a chi rimane il condensato del suo programma di critica della politica. Senza che mai vengano meno la passione, l’ironia, il disincanto di sempre, ritornano i temi del suo incessante ricercare attorno alla possibilità di trasformazione del mondo, nella consapevolezza disillusa che il suo «Che fare?» è inattuale ma non improponibile.

Ancora una volta al centro della riflessione di Tronti sono la storia politica del Novecento e i suoi snodi, dagli albori del secolo al biennio 1989-1991, una parabola osservata a distanza di decenni dalla sua conclusione e dall’assestamento di un nuovo ordine mondiale. Ma la storia non interessa a Tronti come oggetto di racconto, compito dello storico, o di interpretazione, compito del filosofo, bensì come oggetto di pensiero, e questa è prerogativa del politico. Pensiero di parte, naturalmente, perché pensare dev’essere condizione del trasformare, «estrarre dal passato accenni di futuro».

La riflessione sulla storia è così anche una riflessione, del tutto priva di autobiografismi, sulla propria vicenda di pensatore, in cui sono convocati autori «che dicono le stesse sue cose»: Marx, Hegel, Lenin, i classici del realismo politico, ma anche Paolo di Tarso e la «secolarità sacra» di Panikkar, oltre alle profezie degli artisti amati, Musil, Mann, Dostoevskij. La ricapitolazione delle vicende su cui Tronti ha ragionato e di quelle di cui è stato testimone diretto è retrospettiva quel tanto che serve a lanciare un programma per il presente, come le consegne provocatorie a «salvare la rivoluzione dal socialismo » e a «salvare la libertà dalla democrazia».