In ricordo di Mario
Moltissimi anni fa mi trovavo in una comune agricola cinese, per uno scambio tra università, che comportava almeno una visita ad un luogo di lavoro, dove il segretario del partito ti ragguagliava sull’Ottobre, sulla Lunga Marcia. Riuscita a sgattaiolare dalla cerimonia, andai in giro e entrai in un edificio e vi trovai una platea piena di contadini e operai ad ascoltare rapiti un vecchio abbigliato con sete colorate. Avevo appena sbarrato gli occhi che fui riacciuffata dall’interprete, il quale mi spiegò che gli spettatori erano lavoratori premiati per aver superato la norma di produzione, e il premio era ascoltare “il mandarino dei laghi”, storie sul Celeste Impero, narrate da specialisti ad hoc.
Al ritorno piacque a Mario l’accostamento tra lui e il mandarino cinese.
I 4 ‘laghi’ di Mario, da lui elencati nel suo ultimo scritto sono: operaismo, autonomia del politico, teologia politica, monachesimo combattente.
A me tocca l’operaismo, coloro che seguiranno, vi incanteranno con ricami sul suo pensare. A me tocca l’operaismo per circostanze anagrafiche.
Circolano in rete interviste di Mario e mie sul fatto che ‘Quaderni Rossi’ e la sua figlia ribelle ‘Classe Operaia’ nacquero nella mia casa a Roma, per via delle sue porte spalancate innanzitutto per il profeta disarmato Raniero Panzieri, per Alberto Asor Rosa, Umberto Coldagelli e per quelli che saranno chiamati ‘operaisti’. All’epoca Mario ed io saremmo inorriditi ad essere così etichettati. Volevamo ben di più. Mario voleva risvegliare il suo partito usando la leva della spinta operaia, aveva 30 anni, aveva già vissuto esperienze interne alla logica del suo partito, ma si era lasciato coinvolgere dalla sirena Panzieri, sempre rimanendo intrinseco al suo essere un intellettuale comunista.
Facevamo il giornale pubblicando contributi degli adulti Coldagelli, Asor Rosa, Accornero, Negri, e i resoconti dei giovani alle prese con le loro esperienze dirette con operai in carne ed ossa, che aspettavano all’uscita dei turni per dare loro i nostri volantini, dove spiegavamo che padroni e sindacati erano gli ostacoli da sfidare. Da sfidare per che cosa? Per Mario per avere un canale diretto con il partito, anzi con il secondo piano di Botteghe Oscure. Su questo obiettivo Mario coltivava aspettative.
Mario non è mai andato davanti ad una fabbrica con un volantino, ma alle nostre riunioni ammaliava i giovani che si aspettavano “il passo in avanti di Lenin”. Il passo fu ben diverso perché Mario, dopo i primi entusiasmi per la bellezza di Classe Operaia, quella estetica e quella culturale, si rese conto che non funzionava come canale di comunicazione con il suo partito, con il suo movimento operaio. Mise fine a Classe Operaia e la fine era così definitiva che io feci rilegare 3 raccolte del giornale e le regalai a Mario e a Aris Accornero, non a Alberto Asor Rosa e Umberto Coldagelli, contrari alla chiusura come la maggioranza dei giovani, lasciati senza sponda.
Per Mario la fine dell’esperienza era un fatto compiuto e fu il primo a stupirsi che sull’onda del suo “Operai e capitale”, pian piano acquistasse una sua vita l’operaismo, e divenisse per i giovani una sponda cui sostenersi in un’epoca sempre più ostile. Una sponda che ha ancora una sua attrazione, e i suoi fedeli: quasi un miracolo, dati i 60 anni che separano l’analisi di Mario in “Lenin in Inghilterra” – che apriva il primo numero di Classe Operaia – dall’attuale concezione del mondo. Ma appunto c’è sempre chi crede ai miracoli e Mario ne ha compiuto uno, glielo va riconosciuto con riconoscenza. Peraltro una riconoscenza che Mario quasi subiva.
Con il suo “agire accorto e pensare estremo”, aveva ripreso le sue vesti di intellettuale comunista, comunista togliattiano, si era inserito nell’ambiente del partito – e la sua definizione degli operai come “rude razza pagana” ormai gli era perdonata, attribuendola al momento storico, agli anni ’60. Ad un passato dove quella ‘razza’ era stata coinvolta da mutamenti che avevano dissolto – per sempre – la centralità politica del lavoro manuale. Mario ha vissuto quei mutamenti senza appassionarsene, e la spia sta nel suo far riferimento alla Trilateral, emblema del capitalismo-potere, senza mai un accenno alla Silicon Valley.
Il suo pensare era ormai su ben altri orizzonti, altro che gli algoritmi. Sono gli orizzonti dell’inquieto peregrinare del suo intelletto.
Nello scritto ultimo “Il proprio tempo appreso col pensiero” propone per la presente età dei torbidi, “una NEP Politica” gestita da “una aristocrazia dei migliori” che usi l’autorità al posto del potere, e come comunista avanza la tesi che l’antico monachesimo prefigura un moderno comunismo.
Con una tale tesi ha affrontato più serenamente il finale del suo stare nel mondo, libero del suo dover pensare laico, del dover reagire all’antropologia culturale oggi egemone.
Il suo riferirsi ai “Detti dei Padri del deserto” è il suo grande ultimo atto eversivo pari a quello che fu Classe Operaia, poiché ad ogni tornante di lotta va scelta l’arma più inaspettata dal nemico.
Così era per il mandarino Mario.
(testo letto da Rita di Leo in data 8 novembre 2023 a Roma, in occasione della giornata in memoria di Mario Tronti)