trontiana

Autobiografia filosofica

Mario Tronti nasce a Roma nel 1931. La sua è una famiglia popolare, che lavora ai Mercati generali e abita nel quartiere Ostiense. Vive, serena, la sua infanzia, tra persone semplici. Non c’è tradizione intellettuale ereditata e la sua formazione culturale è del tutto autonoma. Frequenta il Liceo classico, al Pilo Albertelli, e su consiglio del commissario di storia e filosofia agli esami di maturità sceglie la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, corso di Filosofia. Qui si laurea con Ugo Spirito, ordinario di Filosofia teoretica, discutendo una tesi sulle opere giovanili di Marx. Già nel quartiere, e ai Mercati generali, dove lavorava durante gli anni universitari, e poi nell’Università stessa, aveva preso coscienza della passione della sua vita, la politica. Nel 1951 si iscrive alla Federazione giovanile comunista e nel 1954 al Partito comunista. Nel 1956 prende posizione, insieme a molti intellettuali, a favore degli insorti ungheresi, ma a differenza di altri non uscirà dal partito, a cui rimarrà iscritto fino allo scioglimento. Una breve incompatibilità di questa appartenenza si manifesterà solo a metà degli anni Sessanta, quando partecipa all’esperienza dell’operaismo, prima come redattore dei Quaderni rossi, poi come direttore di Classe operaia. Subito dopo la laurea, con una borsa di studio trascorre un periodo a Monaco di Baviera. Negli anni post-universitari lavora come correttore di bozze all’Enciclopedia universale dell’arte, edita da Sansoni. Tra 1968 e 1970 insegna storia e filosofia al Liceo scientifico Galilei di Terni. Nel 1969 prende la Libera docenza di Filosofia morale. Nel 1970 viene chiamato, come incaricato, all’Università di Siena, nella costituenda Facoltà di Lettere e filosofia. Qui insegnerà ininterrottamente prima Filosofia morale, poi Filosofia politica, fino al 2001. Concluderà la sua carriera come professore associato. Dirà di sé: «Ho lavorato all’Università come un emigrante in un paese straniero, mai imparando bene la lingua del luogo e continuando a parlare il dialetto delle mie idee». Continuativo, nel frattempo, è il suo impegno politico. Scrive su quotidiani e su periodici della sinistra. Nei primi anni Ottanta coordina il lavoro della rivista Laboratorio politico. Fa parte del Comitato centrale del PCI, dove si esprime per il no al cambiamento di nome del partito. Negli anni Novanta viene eletto senatore del PDS. Partecipa ai lavori della seconda Commissione bicamerale per le riforme costituzionali. Non aderisce al Partito democratico. Attualmente presiede il Centro per la riforma dello Stato, un luogo di studi e iniziative fondato da Umberto Terracini e a lungo presieduto da Pietro Ingrao.

Tutto qui. Poche notizie, poco interessanti. Ma vediamo quello che più conta: il percorso del pensiero.

Risale agli anni universitari l’incontro con l’opera di Marx, intorno a cui ruoterà gran parte della sua produzione intellettuale. Ma i primi due scritti editi riguardano la figura di Gramsci, il suo concetto di filosofia della prassi, in rapporto con la tradizione dell’idealismo italiano di Croce e di Gentile. E qui si verifica il primo strappo con l’ortodossia allora imperante nel marxismo italiano, lo storicismo della linea De Sanctis – Labriola – Croce – Gramsci. Attraverso Lucio Colletti, assistente nella cattedra di Filosofia teoretica di Spirito, fa propria la lettura di Marx, elaborata da Galvano Della Volpe, lettura antihegeliana, antistoricista, neomaterialistica. Studia la logica del Capitale, soprattutto attraverso la valorizzazione della marxiana Einleitung del ’57. Traduce e presenta alcuni scritti giovane-marxiani che anticipano la più matura critica dell’economia politica (K. Marx, Scritti inediti di economia politica, Editori Riuniti, Roma 1963). È la scelta di un marxismo critico, non catechistico, non dogmatico. Questa posizione teorica si aggancia a un’esperienza pratica, molto intensa, che è quella dell’operaismo dei primi anni Sessanta. Accomuna le due cose un radicalismo di fondo, che privilegia il conflitto tesi-antitesi, senza margini per la sintesi. In questa fase la ricerca intellettuale-politica di Tronti si concentra sull’analisi del capitalismo fordista e taylorista, come si realizzava nella grande fabbrica, e sull’emergere di un nuovo tipo di lotte operaie, centrate sulla figura dell’operaio-massa, l’operaio alla catena di montaggio. Intanto, rileggeva il Marx del Primo Libro del Capitale e dei Grundrisse. E sullo scontro frontale, tipico del capitalismo industriale sviluppato, tra salario e profitto, viene elaborato il concetto di «punto di vista operaio», una parzialità, soprattutto di lotta, la sola in grado di cogliere la totalità del processo di produzione, circolazione, consumo e riproduzione allargata.

Gli scritti pubblicati nella rivista periodica Quaderni rossi, diretta da Raniero Panzieri, e poi nel mensile Classe operaia, Giornale politico degli operai in lotta, diretta dallo stesso Tronti, verranno poi raccolti, insieme a un lungo saggio ine- dito, Marx, forza-lavoro, classe operaia, in un volume Einaudi che esce nel 1966, Operai e capitale. Questo diventerà un libro culto per le giovani generazioni del ’68 – essendo esaurito, girava ciclostilato – e circolerà per tutti gli anni Settanta, soprattutto nei gruppi antagonisti «Lotta continua» e «Potere operaio». Ancora oggi – l’ultima riedizione, presso DeriveApprodi, è del 2006 – Operai e capitale viene giornalisticamente etichettato come la Bibbia dell’operaismo. Una seconda edizione accresciuta, con un Poscritto di problemi, uscì sempre presso Einaudi nel 1971, in questa forma più volte ristampato e tradotto in molte lingue.

Chi vuole saperne di più dell’esperienza dell’operaismo, che tra l’altro insieme a Tronti coinvolse personalità come quelle di Alberto Asor Rosa, Toni Negri, Massimo Cacciari e molti altri, ha a disposizione oggi un documentato libro, di 900 pagine, uscito nel 2008 presso DeriveApprodi, L’operaismo degli anni Sessanta, con una corposa Introduzione di Tronti, Noi operaisti, interviste-testimonianze dei protagonisti, lettere e materiali vari del periodo.

Nei primi anni Sessanta era intanto maturato un altro importante approdo intellettuale. Dentro l’esaurirsi dell’assetto nazional-popolare del marxismo italiano, e della tradizione marxista ortodossa europea, si riscopriva quella stagione di rottura di tutte le forme, che tra Otto e Novecento, ma soprattutto nel primo decennio del Novecento, aveva prodotto la cultura della crisi, il pensiero negativo, le avanguardie artistiche, le rivoluzioni nei metodi della scienza, e quel filone ir- razionalista, che materialismo storico e materialismo dialetti- co avevano o dimenticato o contrastato. Tronti è stato spesso accusato di hegelismo, di aver concepito la stessa sua analisi sociale e politica come una sorta di filosofia della storia, con un soggetto salvifico individuato nella classe operaia. In realtà il Tronti di quel periodo ha senz’altro un’ispirazione anti- razionalista, antilluminista e piuttosto romantica, ma riconosce soprattutto un legame con la tradizione del pessimismo europeo, che prende le mosse da Schopenhauer. Il suo pensiero disordinante si sentiva vicino a ogni posizione eretica, dirompente, critico-distruttiva del senso comune intellettuale dominante. Nello stesso tempo l’attenzione ai prodotti della cultura grande-borghese in un certo senso moderava l’approccio antagonista. In Operai e capitale invitava i giovani ad ascoltare Mahler e a leggere Musil. Altri hanno ritrovato, nel suo stile letterario, incisivo e battente, e nella sua forma di pensiero, dissacrante e innovativa, il segno determinante dell’opera di Nietzsche. Questa interpretazione sembra più vicina al vero.

La figura di Mario Tronti è rimasta legata, e quasi imprigionata, nella figura di leader teorico dell’operaismo. Questo in virtù del successo dell’opera pubblicata da Einaudi, a soli trentacinque anni. Ma il periodo che racchiude questa esperienza è di fatto molto breve, niente più che gli anni Sessanta. Già alla fine del decennio, il suo pensiero scarta verso un orizzonte molto diverso. È la fase che occuperà tutti gli anni Settanta e tutti gli anni Ottanta, e che va sotto il titolo di «autonomia del politico». Spunti su questo tema si possono ritrovare anche negli scritti precedenti, ma qui c’è una svolta, che i suoi vecchi amici operaisti leggeranno infatti come una specie di tradimento dell’ispirazione originaria. Sulla base dell’esperienza fatta, che vedeva le lotte operaie non in grado di mettere in crisi il meccanismo della produzione capitalisti- ca, si ricavava la conseguenza che il terreno del politico, tutto nelle mani della parte avversa, era proprio quello che impediva uno sfondamento delle linee. Con questo terreno bisognava allora fare i conti, impadronirsi della sua logica di funzionamento, occupare parte del territorio per contrastarlo dall’interno. Una tesi molto difficile da accettare in un ambi-

to marxista, che vedeva il politico sempre determinato dal sociale, come questo era determinato dall’economico. La, non assoluta ma relativa, autonomia del politico da queste condizioni strutturali sarà l’altra grande eresia trontiana, che si svilupperà e approfondirà negli anni a seguire.

La presentazione pubblica della tesi ha una data precisa: è il 1972, in un seminario tenuto all’Università di Torino, alla presenza di Norberto Bobbio, che interloquisce, domanda, obietta, insieme ad altri, sulla relazione di Tronti. Il tutto fu registrato, sbobinato, ciclostilato ed ebbe, come era tipico di quei tempi, una diffusione militante, con grandi discussioni, pro e contro, ma molto più contro. Bisognerà aspettare il 1977, per vederlo pubblicato a stampa, insieme a un’altra conferenza tenuta, nel 1975, alla Fondazione Feltrinelli. L’occasione sarà data da uno di quei brevi libri che la casa editrice Feltrinelli comincerà a far circolare, come collana «Opuscoli marxisti» (Sull’autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977). La discussione si riaccese su periodici e giornali. Se ne dà conto in un testo recente: Antonio Peduzzi, Lo spirito della politica e il suo destino. L’autonomia del politico e il suo tempo, Ediesse, Roma 2006. Intanto dall’anno accademico 1970-71, i corsi di Siena saranno un ripercorrere graduale e sistematico della storia del pensiero politico moderno, un corpo a corpo, che occuperà quasi per intero il trentennio dell’insegnamento universitario, con la politica moderna, con le categorie del politico, dal Quattro-Cinquecento in poi. Machiavelli, Bodin, le origini teoriche dello Stato moderno, il dibattito sulla Ragion di Stato, le guerre di religione, a lungo sul Seicento, Hobbes e Spinoza e Locke, Montaigne e Charron e i libertini, la prima rivoluzione inglese, meno sul Settecento, a parte Montesquieu e Rousseau, rivoluzione americana e rivoluzione francese, più il pensiero della Restaurazione che il pensiero dell’Illuminismo, molti anni su Hegel, molto su Tocqueville e così proseguendo fino al Novecento. Tronti si iscrive, come punto di orientamento, nel filone di pensiero del realismo politico, critico degli apparati ideologici e armato di un’antropologia pessimistica. Simbolico, per capire l’arco dello sviluppo della forma singolare del suo pensiero è questo fatto: i primi due corsi a Siena sono dedicati a Machiavelli, gli ultimi due corsi sono dedicati a Nietzsche.

La produzione intellettuale nel frattempo è tutta dentro questa ricerca. Nel 1975, esce presso la Bibliotheca Biographica dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana un volumetto dal titolo Hegel politico, dedicato al giovane Hegel, da Tubinga a Jena e a Bamberga, e alla formazione politica del suo sistema filosofico, attraverso soprattutto i suoi scritti teologici. Nel 1977, esce presso Il Saggiatore un volume intitolato Stato e rivoluzione in Inghilterra, dove insieme a due saggi di suoi al- lievi, Tronti pubblica un lungo saggio dal titolo evocativo e immaginifico, secondo il suo stile, Hobbes e Cromwell. Alla fine degli anni Settanta, lavora, insieme a molti suoi allievi, a una antologia di testi, Il Politico, che uscirà presso Feltrinelli, in due volumi, ognuno in due tomi: il primo, 1979, Da Machiavelli a Cromwell, il secondo, 1982, Da Hobbes a Smith. Nel 1980 viene pubblicato dall’editore Cappelli Soggetti Crisi Potere, un’antologia di scritti e interventi di Tronti, a cura di De Martinis e Piazzi. E un libro di intervento nella lotta politica immediata sarà, sempre nel 1980, Editori Riuniti, Il tempo della politica.

Tra il 1981 e il 1983, Tronti promuove la rivista bimestrale Laboratorio politico, edita da Einaudi, e coordina un comitato di direzione che vede la presenza di intellettuali come Asor Rosa e Cacciari, Accornero e Bodei, Marramao e Rodotà, Rusconi e Tarantelli, insieme ad altri. Dei primi anni Ottanta sono anche i convegni promossi dall’Istituto Gramsci Veneto, a cui Tronti partecipa in maniera determinante, in collaborazione con Gianfranco Miglio, «Oltre Schmitt» e «Della guerra»: gli Atti sono pubblicati in due libri dalla Ar- senale Editrice di Venezia. Dai primi anni Settanta fa data infatti l’incontro di Mario Tronti con la personalità e l’opera di Carl Schmitt, incontro determinante per la piega che  il suo pensiero prenderà negli anni successivi. Qui si realizza la vecchia idea trontiana dell’uso rivoluzionario del grande pensiero conservatore. Ha scritto: ci serve di più, per capire, un grande reazionario che un piccolo rivoluzionario. Tronti è tra quelli che hanno introdotto Schmitt in Italia ed è quello che ha cercato, tra grandi difficoltà, di introdurlo nel discorso della sinistra italiana. Ne La politica al tramonto, Einaudi, 1998, un capitolo porta il titolo «Karl und Carl», per sottolineare, anche qui allusivamente, la necessità di completare Marx con Schmitt.

Intanto l’orizzonte si allarga, i tempi intristiscono e si corrompono, e cioè cambiano, ma in senso opposto a quello che gli anni Sessanta avevano fatto intravedere, avanza la crisi dei fondamenti, strutturali e teorici, di quel mondo di appartenenza che Tronti aveva riconosciuto come proprio, la grande storia del movimento operaio. Nel 1987 esce il primo nume- ro di Bailamme, «Rivista di spiritualità e politica», promossa dall’Associazione milanese «Amici don Giuseppe De Luca». Tronti vi partecipa fin dall’ideazione e vi collaborerà per circa un decennio. Tiene lì un Dizionario politico, affiancato a un Dizionario teologico, a cura di Edoardo Benvenuto. La redazione, animata dalla persona di Pino Trotta, comprende Romana Guarnieri, Giovanni Bianchi, Fabio Milana, Salvatore Natoli, Sergio Quinzio, a cui si aggiungeranno altri, Paolo Prodi, Amos Luzzatto, Luisa Muraro. Incontra più volte Giuseppe Dossetti, a Monte Veglio, e per le edizioni Marietti cura insieme a Pino Trotta e introduce una raccolta di Scritti politici del monaco politico. Negli stessi anni Tronti frequen- ta, anche qui in veste di promotore, i seminari che tre volte l’anno l’Associazione Itinerari e Incontri tiene nell’Eremo camaldolese di Monte Giove, sopra Fano. Qui il confronto è tra radicalità cristiana e radicalità politica, tra sapienzialità biblica e lettura dei tempi, al centro la personalità di padre Benedetto Calati e intorno figure come Rossana Rossanda e Pietro Ingrao, passando attraverso una folta intellettualità critica ed eretica.

È un periodo, quello degli anni Novanta, di ripiegamento e di ripensamento. Tronti assume come un passaggio tragico, di finis Europae, gli eventi tra l’89 e il ’91, in decisa polemica con le letture democratico-progressiste. Nel 1992 esce, presso gli Editori Riuniti, Con le spalle al futuro, una raccolta degli scritti su Bailamme e altre riflessioni teoriche a caldo sulla sto- ria in atto. Si colloca in questi frangenti l’incontro con l’o- pera di Walter Benjamin, come chiaramente si evince dal ti- tolo del libro. Gli anni seguenti sono dedicati a disincantati approfondimenti. Il movimento operaio non ha perso una battaglia, ha perso la guerra, la guerra della lotta di classe contemporanea e interna all’età delle guerre civili europee e mondiali. L’epoca novecentesca delle rivoluzioni – rivoluzione operaia e rivoluzione conservatrice – si è chiusa. Comincia un’età di restaurazione. Questi temi convergono in La politica al tramonto, Einaudi, 1998. Il saggio iniziale porta il titolo Po- litica Storia Novecento. La prima parte del secolo, «il grande Novecento», fino a tutta la terza guerra, quella fredda, ha vi- sto il primato della politica: poi c’è la rivincita della storia, l’eterno ritorno del sempre eguale. Capitalismo-mondo e società democratica, funzionali l’uno all’altra, reimpongono un dominio assoluto. Movimento operaio e politica moderna cadono insieme.

Nel 2001, in occasione dei suoi settant’anni, e per l’uscita dall’insegnamento, Tronti pronuncia a Siena la lectio magi- stralis a cui darà il titolo: Politica e destino. Verrà pubblicata con lo stesso titolo, alcuni anni dopo, nel 2006, da Luca Sossella editore, insieme a contributi di discussione e di omaggio da parte di amici e di allievi.

La prima delle Tesi su Benjamin, che concludono La politica al tramonto, recita questa sorprendente affermazione apodittica: «Il movimento operaio non è stato sconfitto dal capitalismo. Il movimento operaio è stato sconfitto dalla democrazia. Questo è l’enunciato del problema che il secolo ci mette davanti. Il fatto, die Sache selbst, che adesso dobbiamo pensa- re». Parte di lì un nuovo percorso di ricerca, tuttora in atto, che va sotto il titolo di «per la critica della democrazia politi- ca», che sposta su un altro terreno, con lo stesso metodo, la marxiana critica dell’economia politica: messa in discussione dei fondamenti e delle conseguenze e assunzione del nucleo di verità che l’oggetto polemico nasconde. In un libro collettaneo della manifestolibri, 1906, Guerra e democrazia, uno scritto di Tronti, con quello stesso titolo, argomenta intorno a questa frontiera di ricerca. Il filone è quello tocquevilliano, che parte dalla Democrazia in America, dove l’avvento della società democratica viene messo in pericoloso contrasto con la tradizione dello Stato liberale. Il fatto che la democrazia realizzata d’Occidente porti in corpo il virus di un totalitarismo di tipo nuovo, liberamente accettato da una massa di individui omologati, sulla base di una servitù volontaria, è un drammatico punto di riflessione per il pensiero politico contemporaneo.

Il percorso di Tronti si va infatti sviluppando intorno alla elaborazione, teorica e storica, della figura del Freigeist, dello spirito libero, inassimilabile all’attuale ordine del mondo, ed erede dei falliti tentativi novecenteschi di liberazione umana. Vengono così infranti i limiti che la politica moderna, nella giusta coltivazione della propria autonomia, aveva imposto a se stessa, rischiando però uno specialismo e un professionismo fini a se stessi. Eloquenti sono i titoli dei suoi recenti di- scorsi pubblici: Politica e profezia, Politica e spiritualità, Politica ed egemonia. E, in progetto, il tema, il problema, di mistica e politica, due dimensioni oggi confliggenti ed eternamente richiamantisi. L’orizzonte teologico-politico si chiarisce e si approfondisce. Chi volesse cogliere il fondo, all’apparenza oscuro in realtà solo complesso, rintracciabile nella ricerca dell’ultimo Tronti, dovrebbe leggere un libro recente, composto da un gruppo di suoi fedeli allievi, che simbolicamente prendono il nome di Epimeteo, «colui che vede dopo», o «colui che impara solo dopo», «l’imprudente», opposto e complementare rispetto a «il preveggente», Prometeo. Titolo del libro: Finis Europae. Una catastrofe teologico-politica, Bibliopolis, Napoli 2008.

Tronti ha scritto di sé, e di quello che considera il suo tempo, il Novecento, «noi, nostalgici abitanti del secolo». E ha consigliato, al suo mondo di appartenenza, di coltivare la dimensione intensa della memoria, criticamente ma sovranamente, invece di abbandonarsi a una subalterna demonizzazione del passato. «Si poteva non fare quello che è stato fatto. Ma si poteva anche fare quello che non è stato fatto». Un incontro intellettuale degli ultimi anni è stato con l’opera di Aby Warburg, con l’idea di lavorare al progetto di un Atlante della memoria, che simbolicamente ripercorra, tra esperienze e rappresentazioni, la grande storia del movimento operaio. Le tonalità di questo discorso sembrano acquisire le caratteristiche della tradizione antimoderna. In realtà non è così. Qui vengono portate alle ultime conseguenze le istanze innovative di una critica del moderno, dal suo interno, e da parte di forze, e di potenze, che il moderno stesso ha prodotto, nella sua età classica. Il progetto della modernità, di liberazione umana, non in opposizione ma in divergente accordo con l’afflato divino che insiste nell’umano, aspetta ancora di essere strappato al privilegio di pochi e di essere esteso alle possibilità dei molti e potenzialmente di tutti.

(Testo pubblicato in Storia della filosofia, 14, Filosofi italiani contemporanei, Le Grandi Opere del Corriere della Sera, Bompiani, 2008, successivamente in Tronti, Dall’estremo possibile, Ediesse, 2011)